Le grandi arterie elastiche, e in particolare l’aorta, rivestono due fondamentali funzioni fisiologiche. Da un lato consentono la conduzione del sangue dal cuore alle arterie periferiche, dall’altro agiscono da “cuscinetto”, permettondo la trasformazione del flusso pulsatile, generato dall’azione cardiaca, in uno continuo, proprio dei tessuti periferici. Negli ultimi anni si è assistito a un notevole aumento dell’interesse della comunità scientifica e medica per le proprietà funzionali delle grandi arterie, soprattutto per la rigidità arteriosa (arterial stiffness) come parametro fisiologico e clinico.
Per rigidità arteriosa si intende la ridotta distensibilità dei vasi arteriosi che nel caso delle arterie centrali di grosso calibro (aorta, carotidi) riflette sia complesse variazioni strutturali, come la deposizione di collagene, sia alterazioni della funzione endoteliale. Dirette conseguenze dell’irrigidimento sono la perdita della funzione di “cuscinetto” delle arterie. I tessuti cardiaco e cerebrale, per le loro caratteristiche anatomiche, sono più esposti alle conseguenze emodinamiche dell’irrigidimento arterioso, quali l’aumentata pressione differenziale e la ridotta perfusione coronarica.
L’aumento dell’interesse per la rigidità arteriosa deriva dalla concomitanza di diversi fattori: 1) la disponibilità di strumenti che permettono di misurare la rigidità arteriosa in maniera accurata, non invasiva e ripetibile; 2) la migliore comprensione della fisiologia delle onde pressorie e delle loro modificazioni nelle varie condizioni fisiologiche e patologiche; 3) i risultati di numerosi studi clinici che hanno documentato un’associazione indipendente della rigidità arteriosa con morbilità e mortalità cardiovascolare.
La rigidità arteriosa si definisce come la pressione necessaria per ottenere una determinata dilatazione in un segmento arterioso (rigidità arteriosa segmentaria) o nell’intero albero arterioso (rigidità arteriosa totale). Per una misurazione diretta della rigidità è necessario misurare contemporaneamente, in maniera accurata e nello stesso segmento arterioso, l’andamento istantaneo della pressione e del calibro. Ciò è ottenibile solo con metodiche invasive, attraverso un accesso intraarterioso e l’uso contemporaneo di trasduttori di pressione e di sensori di flusso. La necessità di una procedura invasiva ha ovviamente limitato la misurazione su larga scala della rigidità arteriosa, finché non sono state sviluppate metodiche non invasive che ne hanno notevolmente ampliato l’applicazione clinica. Tra queste si è andata affermando la misurazione della velocità dell’onda sfigmica carotideo-femorale. La prossima settimana vedremo di cosa si tratta.