È la stagione dello sci e delle settimane bianche. Sono migliaia le persone che, ogni anno e soprattutto in questi mesi, vanno oltre i 2.500 metri di altezza. Sull’European Heart Journal sono state pubblicate le raccomandazioni per l’esposizione ad alta quota di persone con malattie cardiovascolari (insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, ipertensione polmonare, cardiopatie congenite, malattie cerebrovascolari, come ictus e TIA, valvulopatie cardiache, o problemi di coagulazione del sangue e trombosi). Un documento redatto da un gruppo internazionale di esperti destinato ai medici, ma realizzato per rispondere ai dubbi di chi ama la montagna e non intende rinunciarci anche se soffre di una patologia cardiovascolare.
Cosa succede all’apparato cardiocircolatorio quando si va tanto in alto? Con l’aumento dell’altitudine si riduce la pressione atmosferica e di conseguenza diminuisce la pressione di ossigeno nell’aria. Si viene cioè a creare un ambiente ‘ipossico’ in cui la tolleranza all’esercizio fisico si riduce. In queste condizioni è piuttosto comune la comparsa del cosiddetto ‘mal di montagna’, ovvero la manifestazione della difficoltà di adattamento dell’organismo all’alta quota, che si manifesta con cefalea, nausea, affaticabilità e disturbi del sonno. É una condizione benigna e transitoria ma che qualche volta può evolvere in forme più gravi, in particolare se si hanno patologie cardiocircolatorie.
La riduzione della pressione di ossigeno tipica dell’alta quota provoca una serie di reazioni: un aumento di pressione arteriosa e frequenza cardiaca, una stimolazione del cuore che cambia forza e modalità di contrazione, un irrigidimento delle arterie, un aumento del numero di globuli rossi con conseguente maggiore densità del sangue, la modifica di alcuni ormoni che possono avere effetti sull’apparato cardiovascolare. Per tutte queste ragioni i pazienti affetti da malattie dell’apparato cardiocircolatorio devono valutare con attenzione la possibilità di andare in alta montagna, insieme al medico: in molti casi è possibile, ma solo a patto che si seguano alcune semplici regole.
1. Prepararsi fisicamente prima di ascendere con jogging, camminate, ascese in quota ripetute nei mesi precedenti.
2. Accertarsi di essere in condizioni cliniche stabili. Se c’è stato un infarto al cuore o una ischemia, ed è stata effettuata procedura di rivascolarizzazione (angioplastica, by pass, eccetera) far passare almeno 6 mesi prima di considerare ascese in quota. E verificare sempre prima la stabilità delle condizioni cliniche con esami ad hoc da decidere con il proprio medico.
3. Se si assume una terapia, come nel caso di chi soffre di pressione alta, valutare caso per caso se vada modificata in quota su consiglio del medico. Questo è il caso soprattutto per pazienti con un elevato rischio cardiovascolare, per i quali una destabilizzazione in quota potrebbe rappresentare un problema. Non è il caso del giovane iperteso a basso rischio, per esempio, per il quale anche un rialzo pressorio in quota di pochi giorni non rappresenta un vero problema.
4. Non ascendere troppo velocemente. Se si pensa di soggiornare in quota per più di 6-7 ore, salire progressivamente, con lentezza. Se possibile trovare un posto dove dormire un poco più in basso (di notte la saturazione di ossigeno nel sangue diventa minore per l’insorgere di apnee nel sonno).
5. Curare l’alimentazione, che deve essere leggera, con sali minerali, vitamine, contenuto bilanciato di zuccheri, proteine e grassi in forma digeribile. Bere. Evitare fumo di tabacco e alcoolici. Eventualmente assumere farmaci per prevenire il mal di montagna, ma sempre con consiglio del medico.
6. Non stancarsi troppo, una volta raggiunta la quota non fare attività fisica intensa immediatamente, ma prendersi un periodo di riposo e acclimatazione (24 ore almeno).
Eur Heart J (IF=20.212) Jan 11 2018; doi: 10.1093/eurheartj/ehx720