POLIFENOLI, MALATTIE CARDIOVASCOLARI E NEURODEGENERATIVE. 2.

Ricercatori dell’Università di Bonn hanno condotto un trial crossover in doppio cieco in cui 70 soggetti sovrappeso/obesi con pre-ipertensione o ipertensione di stadio 1 hanno ricevuto 162 mg/die di quercetina (10-15 volte il consumo giornaliero medio) derivante da estratto di buccia di cipolla o placebo per un periodo di 6 settimane, intervallato da 6 settimane di washout. Rispetto agli studi che l’hanno preceduto, questo si distingue per aver utilizzato il monitoraggio della pressione arteriosa nelle 24 ore, oggi considerato gold-standard nella valutazione degli effetti antiipertensivi di nutraceutici e farmaci. È stata riscontrata una notevole variabilità interindividuale nella concentrazione plasmatica di quercetina (figura; in nero i pazienti che hanno assunto quercetina), verosimilmente dovuta a differenze nell’assorbimento intestinale. 

Nell’intero gruppo di soggetti la quercetina non ha prodotto variazioni significative nei valori pressori delle 24 ore e misurati in ambulatorio. Nel sottogruppo di soggetti ipertesi, la quercetina ha ridotto significativamente la pressione sistolica (SBP) delle 24 ore di 3.6 mmHg (p=0.022) rispetto al placebo. Non sono state riscontrate variazioni significative del peso corporeo e dei parametri lipidici e infiammatori.

Br J Nutr (IF=3.334) 114:1263, 2015

POLIFENOLI, MALATTIE CARDIOVASCOLARI E NEURODEGENERATIVE. 1.

Negli ultimi anni è aumentato esponenzialmente l’interesse per gli effetti dei polifenoli sulla salute umana. Si pensi che dagli anni ’80 sono stati pubblicati più di 80.000 studi che riportano molteplici effetti dei polifenoli su un’ampia gamma di patologie, tra cui cancro, sindrome metabolica, diabete e steatosi epatica non alcolica. Tuttavia, come spesso accade quando si parla di “nutraceutici”, gli studi clinici finora condotti soffrono di varie limitazioni, la principale essendo l’inaccuratezza delle dosi di polifenoli utilizzate, che eccedono, anche di molto, le quantità che si possono riscontrare negli alimenti.

Gli studi in vitro sono invece inficiati dalla scarsità di informazioni sulla farmacocinetica, in particolare l’assorbimento e il metabolismo di queste sostanze. I polifenoli si caratterizzano infatti per una biodisponibilità molto bassa, legata al fatto che sono presenti negli alimenti come composti glicosidati, con uno scarso assorbimento a livello intestinale; una volta nel colon, l’idrolisi enzimatica dei glicosidi promossa dal microbiota intestinale libera l’aglicone, che a sua volta viene assorbito o va incontro a ulteriore metabolismo. La maggior parte degli studi che indagano il meccanismo d’azione dei polifenoli condotti in vitro utilizza i composti presenti negli alimenti e non i metaboliti che effettivamente raggiungono la cellula target. Di conseguenza, i risultati di questo genere di studi hanno una scarsa rilevanza fisiologica.

Nei prossimi post analizzeremo in modo critico le principali evidenze cliniche dell’attività dei polifenoli sulle patologie cardiovascolari e neurodegenerative. In particolare, concentreremo la nostra attenzione sugli studi effettuati su soggetti che assumevano a scopo preventivo integratori alimentari contenenti polifenoli, escludendo invece gli studi in cui tali composti venivano assunti soltanto attraverso la dieta.

W LA CIOCCOLATA!

È noto che i flavonoli, un sottogruppo di flavonoidi vegetali presenti in alimenti come cacao, uva, mele, tè o bacche, riducono il rischio cardiovascolare, verosimilmente migliorando la funzione endoteliale. Ricercatori delle Università di Birmingham e dell’Illinois mostrano ora che i flavonoli aumentano anche l’agilità mentale e l’ossigenazione al cervello. In uno studio controllato cross-over i ricercatori hanno somministrato una bevanda al cacao ad alto contenuto di flavonoli (150 mg di epicatechina e 35.5 mg of catechina) o priva di flavonoli (< 4 mg di ciscuno) a 18 maschi sani, di età compresa tra 18 e 40 anni.
La bevanda ad alto contenuto di flavonoli ha indotto una più rapida e intensa ossigenazione del cervello in risposta a livelli artificialmente elevati di anidride carbonica. Questa era associata a una migliore performance nei test cognitivi; i soggetti hanno completato i test in modo più efficiente, con un miglioramento dell’11% nella velocità delle prestazioni.
Sebbene ancora preliminari, visto il limitato numero di soggetti esaminati e il disegno sperimentale, i risultati dimostrano che l’assunzione acuta di flavonoli induce un miglioramento apprezzabile nelle prestazioni e nell’ossigenazione, fornendo un’ulteriore prova a sostegno del legame tra ossigenazione del sangue cerebrale e capacità cognitive.

Sci Rep (IF=3.998) 10:19409,2020.  doi:10.1038/s41598-020-76160-9

GLI ACIDI GRASSI N-3 NON RIDUCONO GLI EVENTI CARDIOVASCOLARI NEI PAZIENTI ANZIANI CON RECENTE INFARTO DEL MIOCARDIO

L’OMEMI (OMega-3 fatty acids in Elderly with Myocardial Infarction) trial è uno studio randomizzato, in doppio cieco, in pazienti anziani (70-82 anni) con recente infarto miocardico. 1027 pazienti sono stati randomizzati a n-3FA [930 mg di acido eicosapentaenoico (EPA) e 660 mg di acido docosaesaenoico (DHA)] (n=513) o placebo (n=514). L’infarto si era verificato 2-8 settimane prima della randomizzazione.
L’outcome primario composito (morte per tutte le cause, infarto del miocardio non fatale, rivascolarizzazione, stroke o ospedalizzazione per scompenso cardiaco) si è verificato nel 21.4% dei pazienti nel gruppo n-3FA e nel 20.0% dei pazienti nel gruppo placebo (HR=1.08; 95%CI 0.82-1.41; p=0.62). Per quanto riguarda gli outcomes secondari: fibrillazione atriale nel 7.2% del gruppo n-3FA e nel 4.0% del gruppo placebo (p=0.06); sanguinamenti maggiori nel 10.7% del gruppo n-3FA e nell’11% del gruppo placebo (p=0.87).
Chi di voi è interessato agli effetti degli n-3FA sul rischio cardiovascolare noterà che i risultati dell’OMEMI sono analoghi a quelli dello STRENGHT, ma diversi da quelli del REDUCE-IT e del JELIS, che invece hanno dimostrato un beneficio degli n-3FA sugli eventi cardiovascolari (vedi articoli). La differenza è probabilmente imputabile alla diversa formulazione di n-3FA utilizzata nei quattro studi. Il REDUCE-IT e il JALIS hanno utilizzato EPA puro, mentre OMEMI e STRENGTH hanno utilizzato una combinazione di EPA e DHA. Emergerebbe quindi un chiaro beneficio dell’EPA nei confronti della miscela.

Circulation (IF=23.603) 2020 Nov 15. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.120.052209

DIETA VEGETARIANA O VEGANA? AUMENTA IL RISCHIO DI FRATTURE OSSEE

Una alimentazione vegetariana o vegana aumenta il rischio di fratture ossee. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori delle Università britanniche di Oxford e Bristol, che hanno analizzato i dati relativi all’alimentazione di un campione di oltre 54000 persone, raccolti negli anni dal 1993 al 2001. 29830 individui erano onnivori, 15499 vegetariani e 1892 vegani. Durante il follow-up, terminato nel 2010, sono state registrate 3941 fratture ossee a braccia (566), polsi (889), anche (945), gambe (366), caviglie (520), o altre sedi (467). È emerso che i vegetariani e i vegani avevano un rischio aumentato del 9% (HR 1.09; 95%CI 1.00-1.19) e del 43% (HR 1.43; 95%CI 1.20-1.70) di fratture ossee rispetto a chi seguiva un’alimentazione onnivora.

La causa, ipotizzano gli autori, sarebbe da ricercare nel ridotto apporto di proteine nobili e calcio.  Le proteine in grado di innescare la sintesi proteica sono, infatti, principalmente le proteine nobili di carne, pesce, uova e formaggi, fonte quest’ultimi anche di calcio.
Lo studio ha però un importante limite: gli autori infatti non hanno distinto tra fratture dovute a cadute accidentali e fratture spontanee. Un conto è una frattura dovuta con sicurezza a un deficit di minerali o a una salute ossea precaria; altra cosa sono le fratture provocate da un forte trauma.

BMC Med (IF=6.782) 18:353,2020.  doi: 10.1186/s12916-020-01815-3.

CAFFÈ APPENA SVEGLI DOPO AVER DORMITO MALE? NON È UNA BUONA IDEA

Dopo aver dormito male, bere un caffè forte per “svegliarsi” prima di colazione non è una buona idea. Perché? Il caffè a digiuno riduce la tolleranza al glucosio, aumentando il rischio di sviluppare un diabete mellito di tipo 2. Molto meglio fare prima colazione e poi prendere il caffè.
A questa conclusione è giunto un piccolo studio anglo-taiwanese, randomizzato in crossover, condotto in 29 giovani adulti (età 21±1 anni, BMI 24.4±3.3 kg/m2). I soggetti sono stati sottoposti a un test di tolleranza orale al glucosio (OGTT) dopo un ristoratore sonno notturno, dopo un sonno notturno disturbato (sveglia di 5 min ogni ora) e dopo un sonno notturno disturbato seguito dall’assunzione di un caffè nero (300 mg di caffeina).
La qualità del sonno non ha influenzato l’esito dell’OGTT. Al contrario, l’aggiunta del caffè al sonno disturbato ha causato un aumento significativo del picco glicemico medio (8.96 mmol/l  vs 8.20 mmol/l) e del picco insulinico medio (310 pmol/l vs 235 pmol/l).

Br J Nutr (IF=3.334)124:1114,2020. doi: 10.1017/S0007114520001865

GLI OMEGA 3 NON SONO SUPERIORI AL PLACEBO NEL RIDURRE GLI EVENTI CARDIOVASCOLARI NEL PAZIENTE AD ALTO RISCHIO CARDIOVASCOLARE

I risultati dello STRENGTH trial sono stati presentati al congresso dell’American Heart Association 2020, svoltosi quest’anno in modalità virtuale, per le ben note ragioni.
Lo scopo dello studio è stato di valutare l’efficacia della combinazione EPA+DHA (omega-3) verso placebo in pazienti con dislipidemia e alto rischio cardiovascolare. Si tratta di uno studio randomizzato, in doppio cieco, in cui sono stati arruolati 6.539 pazienti nel gruppo omega-3 e 6.539 nel gruppo placebo. La mediana del follow-up è stata di 42 mesi. L’età media dei pazienti era di 63 anni. Il 35% dei pazienti era di sesso femminile e il 70% aveva un diabete mellito. Il trial è stato interrotto precocemente perché un’analisi ad interim programmata ha rivelato una bassa probabilità di beneficio nel gruppo omega-3. L’outcome primario composito di morte cardiovascolare, infarto del miocardio, stroke, rivascolarizzazione percutanea, o ospedalizzazione per angina instabile si è verificato nel 12,3% dei pazienti del gruppo omega-3 e nel 12,2% dei pazienti del gruppo placebo (p=0,84). Per quanto riguarda gli outcomes secondari si è evidenziato: fibrillazione atriale nel 2,2% dei pazienti nel gruppo omega-3 e 1,3% nel gruppo placebo (p<0,001); eventi avversi gastrointestinali nel 24,7% (omega-3) e 14,7% (placebo); sanguinamenti maggiori nel 0,8% (omega-3) e 0,7% (placebo).
Chi di voi è interessato agli effetti degli acidi grassi omega-3 sul rischio cardiovascolare noterà che i risultati dello STRENGHT sono diversi da quelli del REDUCE-IT e del JELIS, che invece hanno dimostrato un beneficio degli omega-3 sugli eventi cardiovascolari. La differenza è probabilmente imputabile alla diversa formulazione di omega-3 utilizzata nei tre studi. Il REDUCE-IT e il JALIS hanno utilizzato EPA puri, mentre lo STRENGTH ha utilizzato una combinazione di EPA e DHA. Emergerebbe quindi un chiaro beneficio dell’EPA nei confronti della miscela.

LA DIETA MEDITERRANEA ALLUNGA LA VITA. ANCHE NEGLI ANZIANI

Non è mai troppo tardi per iniziare a mangiare sano. E la dieta mediterranea, paradigma dell’alimentazione più salutare, fa bene anche quando non si è più giovanissimi. Lo dice uno studio italiano condotto all’IRCCS Neuromed di Pozzilli. Sono stati analizzati i dati di oltre 5mila anziani partecipanti al progetto Moli-sani, un’indagine che raccoglie informazioni su circa 25mila abitanti del Molise, al fine di individuare i fattori di rischio per malattie come tumori e patologie cardiovascolari e riconoscere gli elementi più protettivi per la salute. In questo caso, 5200 ultrasessantacinquenni sono stati seguiti per una media di otto anni, durante i quali sono stati registrati 900 decessi. Come sapete, un’alimentazione mediterranea abbonda di frutta, verdura, pesce, legumi, cereali e olio d’oliva mentre è scarso l’apporto di carne e latticini. L’aderenza di ciascun individuo ai principi della dieta mediterranea è stata valutata con uno score da 0 (pessima aderenza) a 9 (massima aderenza).

Ogni unità di aumento dello score si associa a una riduzione della mortalità totale (HR=0.94; 95%CI 0.90-0.98) e della mortalità cardio- e cerebro-vascolare (HR=0.91; 95%CI 0.83-0.99). Gli stessi ricercatori hanno anche eseguito una meta-analisi di 7 studi simili, con un totale di 11738 partecipanti e 3874 decessi. In questo caso, ogni unità di aumento dello score si associa a una riduzione del 5% (95%CI 4-7%) della mortalità totale. I risultati mostrano quindi chiaramente che un’alimentazione mediterranea riduce la mortalità pure negli over 65, e che una maggior aderenza alla dieta mediterranea comporta un minor rischio di morte, in modo dose-dipendente.

I ricercatori dell’Istituto Neuromed, analizzando le abitudini di 10mila persone (studiate nell’ambito dell’Osservatorio epidemiologico su alimentazione e salute in Italia, INHES), hanno poi dimostrato che la dieta mediterranea è preferita dagli over 50 e al Sud, ed è scelta più spesso dagli uomini che dalle donne.

 

Brit J Nutr (IF=3.334)120:841,2018.  doi: 10.1017/S0007114518002179

CON GLI ALIMENTI ULTRAPROCESSATI SI INVECCHIA PRIMA

C’è una relazione tra invecchiamento biologico precoce e consumo di alimenti ultra-processati (UPF, ultraprocessed foods), quei prodotti industriali attraenti e colorati, surgelati o no, dolci o salati, sempre più utilizzati da chi non ha voglia, e spesso non ha il tempo, di dedicarsi alla preparazione dei pasti.
Ricercatori spagnoli delle Università di Navarra, Pamplona e Madrid hanno analizzato i dati di 645 uomini e 241 donne, età media 67.7 anni, che hanno fornito campioni di saliva per l’analisi del DNA e accurate registrazioni di quale e quanto cibo industriale assumessero quotidianamente. I ricercatori hanno suddiviso i partecipanti in 4 gruppi, in base al consumo individuale di UPF: basso consumo (meno di 2 porzioni al giorno), consumo medio-basso (da 2 a 2,5 porzioni al giorno), consumo medio-alto (da più di 2,5 a 3 porzioni al giorno) e consumo alto (più di 3 porzioni quotidiane). Hanno utilizzato, come parametro di invecchiamento biologico, la lunghezza dei telomeri. I telomeri sono strutture formate da DNA e proteine, localizzati alle estremità dei cromosomi. Non contengono informazioni genetiche, cioè non sono codificanti, ma sono vitali, perché preservano la stabilità e l’integrità dei cromosomi. Ogni volta che una cellula si divide, una piccola parte di telomero viene persa; pertanto, man mano che le cellule invecchiano, i telomeri si accorciano. Per questa ragione la loro lunghezza è considerata un marcatore dell’età biologica.
Gli individui del gruppo a consumo maggiore di UPF avevano più degli altri l’abitudine di fare spuntini tra un pasto e l’altro, consumavano più grassi (saturi e polinsaturi), sodio, colesterolo, fast food e carni lavorate, e assumevano meno carboidrati, proteine, fibre, olio d’oliva, frutta e verdura. In essi erano più rappresentati storia familiare di malattie cardiovascolari, diabete e iperlipidemia. La probabilità di avere dei telomeri “accorciati” era quasi raddoppiata rispetto agli individui a basso consumo di UPF (OR=1.82; 95%CI 1.05-3.22), con una relazione lineare inversa tra consumo di UPF e lunghezza dei telomeri.
Più si consumano cibi “malsani” più le cellule del nostro organismo invecchiano. E in fin dei conti noi stessi.

Am J Clin Nutr (IF=6.766) 111:1259,2020. doi: 10.1093/ajcn/nqaa075

FRUTTA E VERDURA. CON 100 GRAMMI IN PIÙ AL GIORNO SI RIDUCE DEL 25% IL RISCHIO DI DIABETE

Non per forza le canoniche cinque porzioni di frutta e verdura al giorno. Anche solo un piccolo sforzo in più basta ad allontanare il diabete mellito di tipo 2. Per la precisione, bastano 66 grammi in più di questi due alimenti per ridurre del 25% il rischio di sviluppare un diabete di tipo 2.
È quanto emerge da uno studio di ricercatori europei, che hanno esaminato l’associazione tra livelli ematici di vitamina C e carotenoidi (i pigmenti presenti in frutta e verdura colorate) e rischio di sviluppare un diabete di tipo 2. I risultati si basano su 9.754 adulti che hanno sviluppato un diabete di tipo 2 di nuova insorgenza e un gruppo di controllo di 13.662 adulti reclutati tra i 340mila partecipanti alla European Prospective Investigation in Cancer and Nutrition (EPIC) – Studio InterAct in otto paesi europei.
Valori più elevati di vitamina C e carotenoidi totali si associano a un ridotto rischio di sviluppare diabete: rispettivamente HR per SD=0.82  (95%CI 0.76-0.89) e HR per SD=0.75 (95%CI 0.68-0.82). Controllando i dati per stile di vita e altri fattori di rischio per il diabete, i ricercatori hanno calcolato che un aumento medio di 66 grammi al giorno nell’assunzione totale di frutta e verdura (95%CI 61-71) riduce di un quarto (HR=0.75; 95%CI 0.67-0.83) il rischio di sviluppare un diabete di tipo 2.
Anche se si tratta di uno studio osservazionale, e quindi non è possibile stabilire un nesso di causa-effetto, il risultato fornisce un’ulteriore conferma di come il consumo di frutta e verdura possa avere un impatto significativo sulla riduzione del rischio di insorgenza del diabete di tipo 2.

Brit Med J (IF=30.223) 370:m2194,2020. doi: 10.1136/bmj.m2194