La tipica distinzione dei pasti in colazione, pranzo e cena sta perdendo significato. Spesso un pasto “salta”, e sempre più frequentemente facciamo spuntini a qualsiasi ora della giornata. Gli esperti della Società di Cardiologia Americana (American Heart Association) hanno esaminato gli effetti sulla salute cardiometabolica di vari comportamenti alimentari (articolo): saltare la colazione, cibarsi ad intermittenza, frequenza (numero giornaliero) e tempistica (quando) dei pasti. L’evidenza scientifica indica che un profilo di alimentazione irregolare ha un’influenza negativa sulla salute cardiometabolica. Gli esperti concludono l’analisi con l’affermazione che una maggiore attenzione alla tempistica e frequenza dei pasti contribuisce a migliorare l’efficacia della prevenzione cardiovascolare attraverso un miglioramento dello stile di vita e del controllo dei fattori di rischio.
GLI INIBITORI DELL’ANGIOPOIETIN-LIKE 3 (ANGPTL3)
Da Chiara Pavanello
Studi epidemiologici e di associazione genome-wide hanno individuato correlazioni tra la presenza di varianti loss-of-function dell’angiopoietin-like 3 (ANGPTL3) e ridotte concentrazioni plasmatiche di tutte le lipoproteine [eccetto la lipoproteina(a)]. In questo contesto l’inibizione di ANGPTL3, mimando la condizione determinata geneticamente, rappresenta un affascinante approccio farmacologico dall’elevato potenziale terapeutico.
I ricercatori (e le aziende farmaceutiche!) non si sono attardati, testando l’efficacia di anticorpi monoclonali diretti contro ANGPTL3 nei topi. Evinacumab, questo è il nome che è stato dato al prodotto, ha ridotto mediamente del 52% i livelli di colesterolo totale rispetto a placebo così come i trigliceridi dell’84%. L’effetto positivo si è tradotto anche in una riduzione del 39% della dimensione della lesione aterosclerotica senza modificare però il contenuto di macrofagi, collagene e di cellule muscolari lisce della placca. Lo studio clinico di fase I, condotto su 83 volontari moderatamente ipertrigliceridemici ha essenzialmente confermato quanto dimostrato nell’animale: dopo soli 4 giorni dalla prima iniezione evinacumab ha portato a riduzioni significative dei trigliceridi (-76%) e del colesterolo-LDL (-23.2%) e del coleterolo-HDL (-18.4%) dopo 15 giorni [Dewey et al, 2017]. Risultati essenzialmente paragonabili sono stati ottenuti bloccando la sintesi di ANGPTL3 mediante un oligonucleotide antisenso (ANGPTL3-LRX), sia nell’animale sia nei 44 soggetti reclutati per la fase clinica (figura) [Graham et al, 2017]. Nello studio, pubblicato contemporaneamente a quello con evinacumab, è stato riportato inoltre un miglioramento della sensibilità all’insulina in topi trattati con l’antisenso, rispetto a placebo.
Dewey FE et al. Genetic and pharmacologic inactivation of ANGPTL3 and cardiovascular disease. N Engl J Med 2017 May 24. doi: 10.1056/NEJMoa1612790.
Graham MJ et al. Cardiovascular and metabolic effects of ANGPTL3 antisense oligonucleotides. N Engl J Med 2017 May 24. doi: 10.1056/NEJMoa1701329.
IL PEPERONE
Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio
Originario dell’America latina, il peperone appartiene alla famiglia delle Solanacee (Capsicum). Coltivato in tutto il bacino del Mediterraneo, è caratterizzato da una sostanza, la capsaicina, che ne garantisce la piccantezza. E’ un alcaloide che si trova concentrato nei semi e nella parte bianca dei peperoni, in minor misura in quelli più dolci. Esistono molteplici varietà che vengono classificate in base a forma, colore e sapore. Il peperone ha un buon contenuto di fibre (pectina e cellulosa) ma, soprattutto, è una buona fonte di vitamina C: infatti, se consumati crudi, i peperoni danno un apporto di acido ascorbico nettamente superiore a quello delle arance. Contengono betacarotene, che ha spiccate proprietà antiossidanti. La sua biodisponibilità è sensibilmente migliore con associazione di lipidi: un semplice cucchiaino di olio di oliva ne migliora l’assorbimento. Interessante è il contenuto di (quasi) tutte le vitamine del gruppo B, importanti nella metabolizzazione dei nutrienti e delle altre vitamine. Il peperone viene considerato indigesto, ma, in realtà, se si ha l’accortezza di eliminare buccia e semi, dove sono contenute le sostanze di difficile digestione, questo ortaggio si può tranquillamente consumare senza sgraditi effetti digestivi.
LA RICETTA. Peperoni con mollica
Ingredienti (per 6 persone): 1 kg. di peperoni, pangrattato g. 200, capperi g. 20, olio extravergine di oliva g. 35, 3 spicchi di aglio, pepe, aceto. Arrostire e spellare i peperoni, abbrustolire il pangrattato. In un tegame mettere l’aglio tritato, l’olio, i capperi e lasciare rosolare. Aggiungere la mollica e i peperoni tagliati a listarelle. Amalgamare con un cucchiaio di aceto e portare a cottura. Servire freddo. Buon appetito!
Kcal (per porzione): 220. Proteine: 5,9 g. Lipidi: 7,3 g; saturi: 1 g; insaturi: 0,5 g; monoinsaturi: 4,4 g. Carboidrati: 35,5 g. Fibra: 5,5 g.
OLIGONUCLEOTIDI ANTISENSO PER IL TRATTAMENTO DELLE DISLIPIDEMIE
Da Chiara Pavanello
Gli oligonucleotidi antisenso, detti anche ASO (dall’inglese AntiSense Oligonucleotide) rappresentano una delle attraenti tecnologie messe a punto negli ultimi anni per inibire la sintesi di una qualsiasi proteina di interesse, coinvolta nella patogenesi di una malattia. Si tratta di brevi analoghi sintetici di acido nucleico a singolo filamento, disegnati per essere complementari ad una specifica sequenza di RNA messaggero (mRNA), il codice genetico prodotto da uno specifico gene che contiene “l’informazione” per la produzione di una distinta proteina. Il termine “antisenso” sta proprio ad indicare che la sequenza è opposta a quella che dovrebbe essere trascritta.
Quando un ASO si lega al suo mRNA complementare si forma un complesso che può essere selettivamente degradato, da alcuni enzimi, dette endonucleasi, oppure può portare al blocco del ribosoma, il sistema cellulare responsabile della sintesi proteica [Video]. In entrambi i casi viene selettivamente “bloccata” la lettura del codice genetico e la proteina non può essere prodotta.
La strategia farmacologica antisenso è già in uso da alcuni anni nel trattamento di alcune patologie quali la sclerosi laterale amiotrofica, alcuni tipi di tumore e come antivirale, mentre nel campo delle dislipidemie questo approccio è relativamente nuovo. Il vantaggio principale è l’elevata specificità del farmaco, che si traduce in un rischio inferiore di interazioni farmacologiche e di effetti collaterali, rispetto ai prodotti oggi in commercio per il trattamento delle dislipidemie. Inoltre gli ASO si accumulano nel fegato, l’organo dove la maggior parte delle proteine coinvolte nel metabolismo lipidico viene sintetizzata, risultando pertanto particolarmente efficaci nel produrre l’effetto desiderato. Uno dei primi esempi di ASO entrati in commercio (ma non in Europa!) è il mipomersen, indicato nell’ipercolesterolemia familiare omozigote, che si è dimostrato efficace nei trials clinici nel ridurre la colesterolemia anche del 44%. Esso agisce inibendo la produzione epatica dell’apoB100, costituente delle VLDL e LDL, che quindi non vengono assemblate e messe in circolo. Altri ASO sono in fase di sperimentazione clinica per altre forme di dislipidemia, quali ipertrigliceridemia grave e iperLp(a). Volanesorsen, ad esempio, è un ASO disegnato per ridurre la produzione di apoC-III, una proteina che inibisce la clearence plasmatica dei trigliceridi. I primi pazienti trattati hanno ottenuto riduzioni dei trigliceridi comprese tra 56-86% dopo 3 mesi di trattamento, parallelamente ad una minor frequenza degli episodi di pancreatite, principale complicanza delle ipertrigliceridemie gravi. Vi abbiamo già citato invece nelle scorse settimane gli ASO contro apo(a), specificatamente disegnati per inibire la produzione epatica della lipoproteina (a). Altri ASO sono ad oggi in sperimentazione preclinica o nelle prime fasi di sviluppo clinico e rappresentano un esempio di approccio farmacologico ultraselettivo e promettente, che consente di inibire potenzialmente la sintesi di qualsiasi proteina coinvolta nel metabolismo lipidico.
Per approfondimenti: Visser et al. Antisense oligonucleotides for the treatment of dyslipidaemia. Eur Heart J (2012) 33: 1451-1458.
ANGIOPOIETIN-LIKE 3 (ANGPTL3): UN NUOVO TARGET PER LAPREVENZIONE CARDIOVASCOLARE?
Da Chiara Pavanello
Nonostante il raggiungimento di valori ideali di LDL-C, circa un terzo dei soggetti trattati con le terapie ipolipidemizzanti standard rimane ancora ad alto rischio cardiovascolare. Lo studio del metabolismo lipidico e delle anomalie genetiche ad esso correlate ha portato alla scoperta di una nuova interessante proteina, chiamata angiopoietin-like 3 (ANGPTL3).
Ma di cosa si tratta? Costituita da 431 aminoacidi e strutturalmente analoga alle angiopoietine, proteine chiave nelle regolazione dell’angiogenesi, ANGPTL-3 viene sintetizzata quasi esclusivamente dal fegato e sebbene la sua funzione non sia stata completamente chiarita, è stato dimostrato il suo coinvolgimento nella regolazione del metabolismo lipidico. In particolare, ANGPTL3 inibisce la lipasi lipoproteica (LpL) e quindi l’idrolisi dei trigliceridi trasportati dai chilomicroni e dalle VLDL (figura) [Tikka et al, 2016]; inattiva inoltre la lipasi endoteliale (HL), un enzima presente nel lume dei vasi che contribuisce al rimodellamento delle HDL, idrolizzandone i fosfolipidi [Shimamura et al, 2007]. Nel 2010 sono state identificate mutazioni genetiche che causano una perdita di funzione di ANGPTL3 e che sono responsabili di una condizione definita ipolipidemia familiare combinata, caratterizzata da bassi livelli plasmatici di LDL-C, HDL-C e trigliceridi [Musumuru et al, 2010]. Ma quel che risulta più interessante dal punto di vista clinico è che queste mutazioni genetiche si associano ad una riduzione del 34% del rischio cardiovascolare (figura), come emerso da un ampio studio di associazione genome-wide condotto su 21980 soggetti con malattia coronarica e 158200 controlli [Stitziel et al, 2017].
Inutile dire che alcune industrie farmaceutiche ne hanno subito intuito il potenziale e in poco tempo sono stati prodotti inibitori di ANGPTL3, oggi in sviluppo clinico: un anticorpo monoclonale (evinacumab) e un oligonucleotide antisenso (IONIS-ANGPTL3-L Rx). Pochi giorni fa sono stati pubblicati i primi promettenti risultati: ne parleremo prossimamente!
Musunuru et al. Exome sequencing, ANGPTL3 mutations, and familial combined hypolipidemia. N Engl J Med 363:2220,2010.
Shimamura et al. Angiopoietin-like protein3 regulates plasma HDL cholesterol through suppression of endothelial lipase. Arterioscler Thromb Vasc Biol 27:366,2007.
Stitziel et al. ANGPTL3 deficiency and protection against coronary artery disease. J Am Coll Cardiol 69:2054,2017.
Tikka et al. The role of ANGPTL3 in controlling lipoprotein metabolism. Endocrine 52:187,2016.
I CIBI SENZA GLUTINE SONO SOLO PER I CELIACHI!
La celiachia o “malattia celiaca” è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino tenue scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è la frazione proteica alcol-solubile di alcuni cereali, come frumento, orzo e segale. In Italia si stimano circa 600.000 pazienti celiaci, pari all’1% della popolazione, ma i diagnosticati ad oggi sono appena 190.000. L’unica terapia disponibile per la celiachia consiste in una dieta senza glutine (gluten-free diet), che va mantenuta con rigore per tutta la vita.
In anni recenti mangiare cibi senza glutine, facilmente reperibili sul mercato, è diventato relativamente comune anche tra individui non affetti dalla malattia, convinti che sia “più sano” o che possa contribuire a rimanere in buona salute. Sono circa 6 milioni gli italiani che consumano regolarmente cibi senza glutine pur non essendo malati, spendendo così ogni anno 105 milioni di euro nell’acquisto di cibi a loro non necessari.
Tuttavia non esistono evidenze scientifiche a dimostrazione dei presunti benefici per la salute di una dieta “gluten-free” se non si è celiaci. Uno studio della Columbia University di New York, appena pubblicato sul British Medical Journal, ha analizzato i dati di 65000 donne e 45000 uomini non celiaci, seguiti tra il 1986 e il 2010, e divisi in cinque gruppi a seconda del consumo stimato di glutine. La ricerca ha dimostrato che l’esclusione del glutine dall’alimentazione non produce alcun beneficio sul rischio cardiovascolare. Peraltro, i cibi senza glutine hanno generalmente un indice glicemico maggiore, e quindi favoriscono l’innalzamento della glicemia, e cibarsi di alimenti senza glutine esclude dall’alimentazione cereali potenzialmente benefici per il sistema cardiovascolare. Quindi, in chi non è celiaco l’esclusione del glutine è inutile, o addirittura potenzialmente pericolosa.
BMJ 2017;357:j1892.
I CEREALI: IL RISO
Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio
Dopo il grano è il cereale più diffuso sulla terra: 6 persone su dieci si nutrono di riso. E’ una pianta annuale appartenente alle graminacee (Oryza). L’Oryza sativa si è differenziata in tre sottospecie: l’Indica, da cui derivano i Basmati, la Javanica, coltivata in Indonesia e la Japonica dalla quale sono derivate le varietà italiane. La riseria italiana è la più importante d’Europa con una produzione di 13 milioni di quintali. Numerose sono le qualità pregiate: Carnaroli, Vialone Nano, Arborio, Baldo, Roma, Sant’Andrea. Il riso come tutti i cereali ha un alto contenuto di carboidrati: 80.4 g ogni 100 g. Le proteine sono pari a 6.7 g/100 g, con una carenza di lisina, che può essere compensata con il giusto accostamento ad altri alimenti. È sempre meglio preferire il riso integrale, non solo per la quantità di fibra ma anche perché non subendo il processo della brillatura, i pochi grassi polinsaturi vengono conservati all’interno del chicco.
LA RICETTA. Riso africano
Ingredienti (4 persone): 400 g. di riso Carnaroli, 4 cipolle, 60 g. di uvetta,100g. di pistacchi salati, 4 semi di cardamono, 1 cucchiaino di curry, 3 cucchiai di olio extravergine, un litro di brodo vegetale.
Affettare una cipolla e farla appassire con un goccio di brodo. Aggiungere il riso e farlo tostare, quindi cuocerlo con il brodo. A metà cottura aggiungere l’uvetta , i pistacchi, i semi di cardamono e il curry. Nel frattempo imbiondire le restanti cipolle con qualche cucchiaio di brodo. Versare il riso in un piatto da portata e condirlo con l’olio. Mettere le cipolle in una salsiera e servire con il riso.
Kcal (per porzione): 657,66. Proteine: 12,74 g. Lipidi: 24,99 g; saturi: 2,92 g; insaturi: 3,50 g; monoinsaturi: 16,49 g. Carboidrati: 97,25 g. Fibre: 4,84 g.
OBESITÀ E RISCHIO DI CANCRO. UNA METANALISI
La metanalisi è una tecnica statistica quantitativa che permette di combinare i dati di più studi clinici condotti su uno stesso argomento, ampliando enormemente il numero di casi analizzati, generando un unico dato conclusivo per rispondere con maggiore accuratezza a uno specifico quesito clinico.
I ricercatori dell’Imperial College of London, in collaborazione con studiosi di vari Paesi, hanno condotto una metanalisi per valutare l’associazione tra vari indici di obesità (indice di massa corporea o BMI, aumento di peso, rapporto vita/fianchi) e rischio di sviluppare 36 tipi di cancro. Il risultato della metanalisi dimostra l’esistenza di una chiara associazione tra grasso corporeo e tumori in 11 sedi: adenocarcinoma esofageo; mieloma multiplo; tumori del cardias, colon (negli uomini), retto (negli uomini), sistema biliare, pancreas, mammella (in post-menopausa), endometrio (pre-menopausa), ovaio e rene. L’aumento del rischio varia a seconda del tipo di cancro: per ogni 5 kg/m2 di aumento del BMI, il rischio di cancro aumenta dal 9% per il tumore del retto (uomini) al 56% per il tumore del sistema delle vie biliari. Per gli altri tipi di cancro l’associazione con l’obesità non è chiaramente dimostrabile, almeno sula base dei dati clinici finora prodotti.
BMJ 2017;356:j477
COSA SONO I TRIGLICERIDI?
Il trigliceride è un grasso formato dall’unione di una molecola di glicerolo con tre acidi grassi. Trigliceridi sono il burro, l’olio, il grasso della carne (e anche il grasso del nostro adipe). Possono essere fluidi, come l’olio, oppure duri e rigidi, come il burro. Poiché i trigliceridi non si sciolgono in acqua, viene da domandarsi come possano circolare nell’ambiente acquoso del sangue. La natura ha fortunatamente inventato le lipoproteine, che consentono di veicolarli in circolo assieme al colesterolo, ai fosfolipidi e a proteine specifiche chiamate apolipoproteine. Le lipoproteine che trasportano i trigliceridi nel sangue sono di due tipi: i chilomicroni, prodotti nell’intestino, che trasportano trigliceridi di origine alimentare, e le lipoproteine a bassissima densità (very-low density lipoproteins, VLDL), prodotte nel fegato, che trasportano trigliceridi di sintesi epatica. I trigliceridi svolgono nel nostro organismo la funzione di riserva energetica. Vengono trasportati dalle lipoproteine dai siti di assorbimento (intestino) e biosintesi (fegato) al tessuto adiposo, da cui vengono mobilizzati al momento del bisogno, per raggiungere altri tessuti dove vengono metabolizzati producendo energia.
Negli adulti la concentrazione di trigliceridi nel sangue è considerata normale quando è inferiore a 150 mg/dL. Quando sale al di sopra di tale valore si parla di ipertrigliceridemia, una condizione che mette a rischio la funzionalità delle arterie e dell’apparato cardiovascolare. Una trigliceridemia elevata è frequente in malattie metaboliche, come l’obesità e il diabete; quando è molto elevata, oltre 1000 mg/dL, può portare alla pancreatite, che può richiedere una terapia chirurgica d’urgenza.
I CEREALI: LA PASTA
Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio
Nella dieta mediterranea i carboidrati rappresentano il 55%-60% delle calorie introdotte giornalmente. Una porzione di pasta al giorno può essere consumata tranquillamente rispettando le linee guida. Il nostro Paese è il maggior produttore e il maggior consumatore di pasta al mondo. Esistono numerosi formati e numerose qualità; la più usata è la pasta di semola. Viene prodotta con semola di grano duro coltivato in Italia meridionale. Ha un buon quantitativo di proteine (11g.) e un valore calorico di 325 chilocalorie per ogni 100 grammi. Tra le tante proposte dal mercato meglio preferire le paste integrali, ricche di fibre e con indice glicemico più basso, da abbinare a sughi di verdura o di legumi.
LA RICETTA. Fusilli zucchine e noci
Ingredienti (4 persone): 320 g. di fusilli, 2 zucchine, 10 pomodorini pachino, 2 spicchi di aglio, 8 noci, 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva.
Scaldare in una padella l’olio con i due spicchi d’aglio. Aggiungere le zucchine affettate sottilmente e lasciare dorare. Unire i pomodorini tagliati a metà e lasciar cuocere per 15 minuti. Nel frattempo tritare le noci grossolanamente e unirle al sugo. Portare a cottura i fusilli e condirli in padella aggiungendo qualche cucchiaio d’acqua di cottura.
Kcal (per porzione): 497,83. Proteine: 14,36 g. Lipidi: 20,17 g; saturi: 2,66 g; insaturi: 10,23 g; monoinsaturi : 6,63 g. Carboidrati: 69,02 g. Fibre: 5,64 g.