EFFICACIA E SICUREZZA DEI FITOTERAPICI UTILIZZATI IN PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE


I ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli e della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma hanno effettuato una revisione dei dati pubblicati nella letteratura scientifica riguardanti l’efficacia e la sicurezza di 42 prodotti erboristici (fitoterapici) utilizzati da pazienti (spesso senza aver informato il proprio medico) affetti da ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, cardiopatia ischemica. È bene qui ricordare che, a differenza di quanto avviene per i farmaci, la commercializzazione di prodotti erboristici non è sottoposta ad alcun controllo di efficacia e sicurezza (dimostrabili attraverso complicati e costosi studi clinici) e non richiede l’approvazione da parte di agenzie nazionali o sovranazionali.

I risultati della ricerca dimostrano che l’uso di prodotti erboristici (quali per esempio aglio, olio di semi di lino, semi d’uva, biancospino, ginseng, the verde, soia) non è supportato da un’adeguata evidenza scientifica, soprattutto per quanto riguarda l’efficacia nell’uomo. Questi prodotti sono peraltro soggetti a rischi, derivanti dall’interazione con altri farmaci, o da contaminazioni con sostanze potenzialmente tossiche. I ricercatori concludono auspicando che i medici indaghino l’uso di fitoterapici da parte dei propri pazienti, informandoli accuratamente dei possibili benefici e rischi derivanti dall’utilizzo di questi prodotti.

Journal of the American College of Cardiology 69:1188-1199,2017

ALIMENTAZIONE E PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE. LE LINEE GUIDA DELLE SOCIETÀ EUROPEE DELL’ATEROSCLEROSI E DI CARDIOLOGIA

L’alimentazione è un fattore imprescindibile nella prevenzione cardiovascolare, perché influisce non solo sui livelli di lipidi nel sangue, ma anche su altri fattori di rischio, aumento della pressione arteriosa e alterazioni del metabolismo glucidico.

L’approccio mediterraneo e la DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) emergono come i modelli in grado di correggere i fattori di rischio cardiovascolare. La Dieta Mediterranea condivide con la DASH l’apporto di frutta e verdura, cereali integrali, legumi, frutta secca, pesce, pollame, latte e latticini a ridotto contenuto di grassi. In più, comprende l’olio extravergine di oliva. Le linee guida ESC-EAS 2016 aggiornano le raccomandazioni relative all’apporto alimentare di grassi, carboidrati, fibre.

GRASSI. Gli acidi grassi saturi restano quelli a maggior impatto sul colesterolo LDL; l’unico acido grasso saturo che non aumenta la colesterolemia è lo stearico. L’apporto alimentare di grassi saturi dovrebbe essere ridotto a meno del 10% delle calorie totali, sostituendo l’eccesso con grassi poli- e mono-insaturi. Gli acidi grassi trans (da grassi vegetali parzialmente idrogenati) sono ormai quasi assenti nei prodotti alimentari industriali (almeno in Italia), aumentano il colesterolo LDL e riducono il colesterolo HDL, e andrebbero evitati. Gli acidi grassi mono e polinsaturi, acido oleico monoinsaturo (quello dell’olio d’oliva), polinsaturi omega-3 (sia a lunga catena di origine marina, sia a catena più corta di origine vegetale) e omega-6 (da oli vegetali non tropicali e frutta secca), sono i grassi da privilegiare.

CARBOIDRATI. L’apporto quotidiano di carboidrati deve contribuire al 45-55% del totale calorico. Gli zuccheri aggiunti, quindi non presenti in frutta, latte e latticini, non devono superare il 10% delle calorie giornaliere. Le linee guida ricordano il ruolo dell’indice glicemico (IG) degli alimenti; consumare alimenti a basso IG contribuisce a controllare profilo glicemico e profilo lipidico.

FIBRE. L’apporto giornaliero di fibre raccomandato è di 25-40 g, di cui 7-13 g come fibre solubili. In particolare, privilegiare cereali integrali ricchi di fibre rappresenta una valida strategia per sostituire i grassi saturi, per massimizzare gli effetti positivi sul colesterolo LDL e minimizzare quelli negativi sui trigliceridi.

ALCOL. È consigliata una moderata assunzione di alcol (al massimo 2 drink/die per gli uomini e 1 drink/die per le donne) negli adulti non astemi, in assenza di controindicazioni assolute. L’astensione dall’alcol è raccomandata per i soggetti con elevati livelli di trigliceridi.

IN CONCLUSIONE, sul versante alimentare, la prevenzione cardiovascolare si basa saldamente sull’alimentazione mediterranea, che privilegia frutta, verdura, olio extravergine d’oliva, frutta secca a guscio, cereali (meglio integrali), pesce, pollame, latte e latticini in quantità moderate, consumo limitato di carne rossa e saltuario di carni lavorate e dolciumi, alcolici in quantità moderate e nel contesto del pasto. È poi necessario apportare tutti i minerali e le vitamine necessari, variando il consumo di frutta e verdura, i polifenoli, presenti in tutto il mondo vegetale e in concentrazioni consistenti nell’extravergine di oliva, nel vino, nel cacao e nel tè. Al consumo di pesce, pari ad almeno due porzioni a settimana, dev’essere associato l’apporto di fonti vegetali di omega-3, come noci, soia, semi di lino.

Ricordate sempre di CONSULTARE IL VOSTRO MEDICO prima di ogni intervento.

LA DIETA MEDITERRANEA

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

La dieta mediterranea è stata dichiarata patrimonio culturale immateriale dell’umanità dall’UNESCO nel 2010.
Rappresenta un insieme di competenze, di pratiche,di espressioni e conoscenze delle popolazioni del Mediterraneo. Il modello nutrizionale si basa su di un consumo costante nel tempo costituto da olio di oliva, frutta fresca e secca, verdure, una moderata quantità di pesce, poca carne e latticini. Nella scelta dei diversi alimenti c’è un grosso rispetto del territorio, salvaguardando le attività tradizionali collegate con la pesca e l’agricoltura. Sarebbe un grosso errore definire la dieta mediterranea solo una lista di alimenti da consumare; infatti è indispensabile, oltre a una alimentazione bilanciata e commisurata al proprio fabbisogno calorico, un corretto stile di vita, che comprenda l‘attività fisica costante.

COS’È IL MICROBIOTA?

L’organismo umano ospita numerosi microrganismi, tra cui archaea, virus, funghi, protozoi e soprattutto batteri, che si localizzano in diversi distretti corporei. Tale complesso ecosistema prende il nome di microbiota umano. Si è co-evoluto con l’ospite, ed è localizzato nella cavità orale, sulla pelle e soprattutto nell’intestino. La composizione del microbiota intestinale è stata oggetto di intensi studi di metagenomica, che combinano le più moderne tecniche di sequenziamento genico con la bioinformatica. È stato così stimato che l’intestino umano è colonizzato da oltre 35000 specie batteriche. Qualitativamente esiste un ampio nucleo di specie microbiche largamente condiviso da tutti gli individui. I phyla più rappresentativi sono Firmicutes e Actinobacteria, tra i gram positivi, e Bacteroidetes e Proteobacteria tra i gram negativi.

La ricchezza del microbiota, definita sulla base di una elevata eterogeneità delle specie batteriche che lo compongono, si associa a una minor prevalenza di patologie metaboliche e, viceversa, una ridotta variabilità di specie batteriche si associa a una maggior prevalenza di malattie infiammatorie. Ma di questo parleremo nelle prossime settimane.

La composizione del microbiota intestinale è influenzata da una serie di fattori. 1) Tipo di parto. La tipologia di batteri che per primi colonizzano l’intestino è definita dalla nascita per via vaginale o per parto cesareo. Nel primo caso, si ritrovano principalmente batteri del genere Lactobacillus e Prevotella, che colonizzano la vagina materna. Nel secondo prevalgono i ceppi Streptococcus, Corynebacterium e Propionibacterium, tipici della pelle. 2) Età. Il profilo microbico dato dal parto tende a modificarsi in maniera peculiare durante l’allattamento, a seconda che il bambino riceva latte materno o artificiale. Durante la prima infanzia la composizione del microbiota subisce importanti modificazioni, poi si stabilizza intorno ai 3 anni di vita e assume una composizione molto simile a quella dell’adulto. 3) Alimentazione. Rappresenta il principale fattore in grado di influenzare quantitativamente e qualitativamente la composizione del microbiota in età adulta. Ad esempio, un elevato apporto quotidiano di prodotti vegetali e ad alto contenuto di fibre determina una maggior ricchezza del microbiota. 4) Terapie farmacologiche. Gli antibiotici sono, come ovvio, la classe di farmaci con maggiore impatto sul microbiota. In virtù della loro azione battericida e batteriostatica, gli antibiotici producono effetti a breve e a lungo termine sulla composizione del microbiota. In particolare, l’azione degli antibiotici può condurre, attraverso la riduzione di alcuni ceppi batterici intestinali, alla perdita della rete di interazioni che si stabiliscono tra le specie colonizzanti, con conseguente creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo di batteri patogeni. 5) Xenobiotici. Sostanze inquinanti ambientali, alle quali l’uomo è costantemente esposto, come pesticidi (organo-fosforici, glifosato), inquinanti atmosferici (PM-10), bifenili policlorurati, e metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo) hanno effetti negativi sul microbiota.

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – I FITOSTEROLI

Gli steroli e stanoli vegetali (generalmente accorpati nel termine fitosteroli) sono componenti bioattivi dei vegetali con struttura e funzioni simili al colesterolo. Il più comune fitosterolo è il sitosterolo, che rappresenta circa il 60% di tutti gli steroli vegetali; seguono campesterolo e sigmasterolo. Gli stanoli sono forme ossigenate, meno abbondanti, degli steroli, non avendo doppi legami sull’anello steroideo.
I fitosteroli sono presenti in quantità variabili negli alimenti di origine vegetale, come mandorle (183mg/100g), nocciole (138mg/100g), frumento (pane, 44mg/100g), broccoli (39mg/100g), arance (24mg/100g), carote (16mg/100g), mele (13mg/100g)…..e negli oli vegetali, mais (715-950mg/100g), colza (250-731mg/100g), oliva (144-150mg/100g)… L’assunzione giornaliera di fitosteroli è di 200-300mg.
Esistono in commercio alimenti addizionati (functional foods) di fitosteroli, come margarina, yogurt, latte; uno yogurt molto pubblicizzato ha un contenuto dichiarato di 1.6 g di fitosteroli per flacone. Gli integratori sono rappresentati da compresse o capsule, con contenuto variabile di fitosteroli, e dosi giornaliere raccomandate in etichetta di 0.6-1.6 g/die.
Colesterolo e fitosteroli contenuti negli alimenti (e i fitosteroli contenuti negli integratori) vengono assorbiti dall’intestino umano con meccanismi molecolari sostanzialmente identici; pertanto i fitosteroli sono in grado di competere con il colesterolo, riducendone l’assorbimento intestinale. Segue una catena di eventi metabolici: il trasporto di colesterolo di origine alimentare al fegato diminuisce, il fegato risponde con un’aumentata espressione dei recettori per le lipoproteine LDL, la rimozione epatica delle LDL dal circolo aumenta, la concentrazione di colesterolo-LDL (il colesterolo “cattivo”) nel sangue diminuisce (fino al 10%). Poiché la riduzione del colesterolo-LDL è proporzionale alla capacità dei fitosteroli di inibire l’assorbimento intestinale del colesterolo, la massima efficacia si ottiene assumendoli al termine del pasto principale; se assunti a digiuno, l’efficacia è pressoché nulla.

La riduzione del colesterolo-LDL indotta dai fitosteroli è dose-dipendente fino a 3 g/die; dopodiché, un ulteriore aumento dell’assunzione di fitosteroli non produce maggiori benefici. L’assunzione giornaliera raccomandata dalle Società Scientifiche è generalmente di 2 g/die. Tale quantità è difficilmente raggiungibile con una normale alimentazione, e richiede il ricorso ad alimenti addizionati o integratori.
I fitosteroli, se assunti alle dosi raccomandate, non producono effetti collaterali significativi; dosi più elevate possono ridurre l’assorbimento di vitamine liposolubili.

COS’È IL COLESTEROLO?

Il colesterolo è una sostanza indispensabile per la vita. Si trova in tutte le cellule degli esseri umani e degli animali, e svolge un ruolo essenziale nel buon funzionamento di tutto l’organismo. È un componente fondamentale delle membrane delle cellule; partecipa alla formazione della bile, il succo prodotto dal fegato e necessario all’assorbimento dei grassi nell’intestino; è coinvolto nella produzione della vitamina D ed è precursore di molti ormoni (estrogeni, androgeni, cortisone).
Per soddisfare compiti tanto importanti, l’organismo pro­duce in tutti i tessuti, ma in prevalenza nel fegato, un quantitativo di colesterolo pari a circa 2 grammi al giorno. La produzione del colesterolo è regolata da un enzima, l’HMG-CoA reduttasi, la cui attività è più intensa quando il colesterolo nel fegato e nel sangue diminuisce e diviene meno intensa quando aumenta. Questo enzima è quindi un importante regolatore non solo del contenuto di colesterolo nel fegato, ma anche della concentrazione di colesterolo nel sangue. Non stupisce che l’HMG-CoA reduttasi sia il bersaglio dei principali farmaci utilizzati per ridurre il colesterolo nel sangue, le statine. Il colesterolo può anche essere assunto con i cibi di origine animale, come i latticini e le carni grasse, il cui consumo tende ad aumentare la concentrazione di colesterolo nel sangue. Gli alimenti di origine vegetale non contengono colesterolo, ma fitosteroli, composti con struttura e funzione simili al colesterolo, il cui consumo non aumenta, ma può invece ridurre, il colesterolo nel sangue (ne parleremo presto).
Poiché il colesterolo, sintetizzato dall’organismo o proveniente dall’alimentazione, è un lipide, che non si scioglie in acqua e nel sangue, viene trasportato in circolo dalle lipoproteine, macromolecole costituite, come dice il nome, da lipidi (non solo colesterolo, ma anche trigliceridi e fosfolipidi) e proteine specifiche, le apolipoproteine. Esistono quattro classi principali di lipoproteine. Due di esse trasportano soprattutto trigliceridi; i chilomicroni, prodotti nell’intestino, trasportano trigliceridi e modeste quantità di colesterolo di origine alimentare, le lipoproteine a bassissima densità (very-low density lipoproteins, VLDL), prodotte nel fegato, trasportano trigliceridi e colesterolo derivati dalla biosintesi epatica. Le altre due classi di lipoproteine trasportano soprattutto colesterolo, con modeste quantità di trigliceridi; le lipoproteine a bassa densità (low density lipoproteins, LDL) favoriscono l’aterosclerosi, depositando colesterolo nella parete dei vasi, mentre le lipoproteine ad alta densità (high density lipoproteins, HDL) rimuovono colesterolo dalla parete vasale avviandolo al fegato, e in tal modo rallentano il processo aterosclerotico. Ne consegue che elevate concentrazioni di colesterolo-LDL (il colesterolo “cattivo”) nel sangue favoriscono l’insorgenza di eventi cardiovascolari, mentre elevate concentrazioni di colesterolo-HDL (il colesterolo “buono”) proteggono da tali eventi.

MALATTIE RARE DEL METABOLISMO LIPIDICO

Nessuna malattia è così RARA da non meritare ATTENZIONE.
Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza, intesa come numero di soggetti affetti presenti in una data popolazione, non supera una soglia stabilita. In UE la soglia è fissata a allo 0,05% della popolazione, ossia 5 casi su 10.000 persone.
Sono conosciute e diagnosticabili 7.000-8.000 malattie rare, ma queste è una cifra che cresce con l’avanzare delle conoscenze scientifiche e in particolare con i progressi della ricerca genetica. Stiamo dunque parlando non di pochi malati, ma di decine di milioni di persone in Europa. Le malattie rare sono RARE, ma le persone affette sono TANTE. Secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro paese sono circa 2 milioni le persone affette da malattie rare; il 70 per cento sono bambini. L’Istituto Superiore della Sanità ha stilato un elenco delle malattie rare esenti dal ticket per le prestazioni sanitarie (D.M. 279/2001), che include 583 malattie rare. Alcune Regioni hanno deliberato esenzioni per un numero maggiore di malattie rispetto a quelle elencate nel suddetto decreto. In Lombardia, le malattie rare esenti da ticket sono 640; di queste, 8 sono dislipidemie, ovvero malattie del metabolismo delle lipoproteine.
Il Centro è Presidio della Rete Regionale Lombarda per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare (http://malattierare.marionegri.it/).

EFFETTI COLLATERALI ed EVENTI AVVERSI dei FARMACI

Non fate confusione!
Questi due termini vengono spesso utilizzati in modo intercambiabile, ma non sono sinonimi e hanno significati diversi.
Un effetto collaterale è un qualsiasi effetto indesiderato di un farmaco, che insorga a dosi normalmente impiegate nell’uomo e che sia correlato alle proprietà farmacologiche del farmaco.
Un evento avverso è un evento clinico indesiderato, che si presenta durante il trattamento con un farmaco, ma che non ha necessariamente un rapporto di causalità (o di relazione) con il trattamento stesso.

PERCHÉ LA RESTRIZIONE CALORICA RALLENTA L’INVECCHIAMENTO?

L’invecchiamento è un processo di cui vediamo gli effetti sul nostro organismo, ma che inizia a livello cellulare. Nello studio sui topi condotto dai ricercatori della Brigham Young University nello Utah si dimostra che una riduzione nell’apporto calorico giornaliero (-35%) rallenta l’attività dei ribosomi, gli organelli intracellulari deputati alla produzione delle proteine, diminuendo la sintesi proteica e lasciando ai ribosomi più tempo per riparare eventuali danni strutturali. I ribosomi sono fondamentali per una corretta funzionalità cellulare. Come le automobili, sono costosi (consumano il 10-20% dell’energia cellulare) e vanno sovente incontro a danneggiamenti; in tal caso buttarli sarebbe troppo dispendioso, meglio ripararli. Nei topi, assumere meno calorie facilita la riparazione dei ribosomi, migliora la sintesi proteica, protegge dalle malattie e allunga la vita.

Molecular & Cellular Proteomics 16:243, 2017

LA DIETA MEDITERRANEA AUMENTA L’ATTIVITÀ CARDIOPROTETTIVA DELLE HDL

È noto che elevate concentrazioni di HDL (le lipoproteine che trasportano il colesterolo “buono”) nel sangue proteggono dall’insorgenza di eventi cardiovascolari, come l’infarto del miocardio. Questa attività cardioprotettiva è dovuta a varie proprietà di queste lipoproteine, che sono in grado di estrarre il colesterolo dalle cellule della parete arteriosa, prevenendo la formazione di placche aterosclerotiche, di dilatare i vasi e di inibire i processi ossidativi che favoriscono l’aterosclerosi.
In questo studio, ricercatori di Barcellona hanno paragonato gli effetti di due diverse diete mediterranee (DM), una arricchita in olio di oliva, l’altra in frutta secca, con quelli di una dieta isocalorica a basso contenuto di grassi sulle proprietà cardioprotettive delle HDL in 291 soggetti. Dopo un anno di intervento dietetico, entrambe le DM hanno prodotto un aumento significativo della capacità delle HDL di estrarre colesterolo dalle cellule e della loro attività antiossidante. Solo la DM arricchita in olio d’oliva ha aumentato anche la capacità delle HDL di dilatare i vasi.
Un’altra dimostrazione che l’alimentazione tipica delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, in particolare se arricchita d’olio d’oliva, produce molteplici effetti sulla concentrazione e attività dei lipidi e delle lipoproteine, che tutti insieme contribuiscono a proteggere le nostre arterie dall’aterosclerosi e il nostro cuore dall’infarto.
MANGIATE ITALIANO!

Circulation 2017;135:633-643