INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO – 2

Elevati livelli di colesterolo (in particolare colesterolo-LDL, il colesterolo “cattivo”) nel sangue si associano a un’aumentata morbilità (infarto miocardico, angina, ischemia cerebrale) e mortalità cardiovascolare, e rappresentano uno dei più importanti fattori di rischio cardiovascolare. Un numero ormai ragguardevole di studi clinici ha dimostrato che una riduzione dei livelli di colesterolo-LDL produce una diminuzione significativa degli infarti miocardici, delle ischemie cerebrali, delle morti e di altri eventi cardiovascolari. Il beneficio in termini di riduzione degli eventi dipende dal livello di colesterolo-LDL all’inizio della terapia (più alto il livello, maggiore il beneficio), dal rischio cardiovascolare globale (la sommatoria di tutti i fattori di rischio come età, sesso, famigliarità cardiovascolare, diabete, ipertensione, fumo di sigaretta, sovrappeso….) del singolo individuo, e dal livello di colesterolo-LDL raggiunto con la terapia (minore il livello, maggiore il beneficio). L’intensità dell’intervento volto a ridurre il livello di colesterolo-LDL deve essere quindi commisurato al valore pre-terapia e al rischio globale individuale (che può essere calcolato con algoritmi e “carte del rischio” disponibili anche sul web). Le più recenti raccomandazioni degli esperti Europei indicano valori-obiettivo post-intervento di colesterolo-LDL inferiori a 70 mg/dL nei soggetti a rischio molto elevato, inferiori a 100 mg/dL nei soggetti a rischio elevato e inferiori a 115 mg/dL nei soggetti a rischio moderato.

Le strategie di intervento per ridurre il livello di colesterolo-LDL e raggiungere i valori-obiettivo raccomandati sono essenzialmente di due tipi: (1) modificazione dello stile di vita e (2) terapia farmacologica. Il primo tipo di intervento include una correzione delle errate abitudini alimentari, con riduzione dell’apporto alimentare di colesterolo e di grassi saturi e “trans” e aumento dell’assunzione di fibre, e un incremento dell’attività fisica. Questo tipo di intervento è indispensabile sia nel soggetto a basso rischio, che nel soggetto ad alto rischio che assume una terapia farmacologica. Tuttavia la sua efficacia è limitata dalla scarsa aderenza del soggetto alle raccomandazioni di variare le abitudini alimentari e dal fatto che i componenti alimentari in grado di ridurre il livello di colesterolo-LDL sono spesso presenti in bassissime quantità nei cibi. I nutraceutici possono rappresentare un utile complemento alle raccomandazioni dietetiche per implementarne l’efficacia. Sono stati proposti vari nutraceutici potenzialmente in grado di ridurre il livello di colesterolo-LDL. Nonostante l’elevata disponibilità di prodotti, l’evidenza scientifica della loro efficacia è in alcuni casi carente.

 

 

IL TESSUTO ADIPOSO “PARLA” CON ALTRI ORGANI. NUOVE PROSPETTIVE PER LA TERAPIA DEL DIABETE E DELL’OBESITÀ?

 Per lungo tempo si è ritenuto che il tessuto adiposo fungesse solo da tessuto inerte di deposito per sostanze grasse, da mobilizzare e utilizzare per fornire energia all’organismo al momento del bisogno. Poi si è compreso che il tessuto adiposo è una vera e propria fabbrica biologica, che produce e libera in circolo una serie di sostanze che partecipano attivamente alla regolazione di importanti funzioni in altri organi, come la leptina che regola assunzione di cibo e consumo energetico nel cervello.
Si scopre ora che il tessuto adiposo produce e invia ad altri organi anche piccoli frammenti di RNA, chiamati microRNA o più semplicemente miRNA. Questi micro-frammenti di RNA circolano nel sangue e raggiungono organi distanti dal tessuto che li produce, dove partecipano alla regolazione della trascrizione genica e quindi della produzione di proteine.
Ricercatori dell’Harvard Medical School in Boston, hanno creato dei topi geneticamente modificati, che non hanno l’enzima necessario per la produzione di miRNA nel tessuto adiposo. Questi topi non producono miRNA, sono più magri dei topi normali e sviluppano insulino-resistenza e intolleranza al glucosio. C’è ancora una lunga strada da percorrere, ma le ricerche degli studiosi di Harvard suggeriscono che in futuro terapie basate sull’utilizzo di miRNA possano rivelarsi utili nel trattamento di malattie complesse come il diabete e l’obesità.

LA QUINOA – DAGLI INCAS ALLA NOSTRA TAVOLA

Dalla Dietista del Centro, Raffella Bosisio
Coltivata da 5000 anni e considerata pianta sacra dagli Incas, la quinoa è l’alimento base delle popolazioni andine. Appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae e viene comunemente considerata un cereale benché sia più corretto classificarla pseudocereale. Pianta resistente, cresce facilmente non richiedendo molte cure. Se ne conoscono molte varietà: la più diffusa è la quinoa red. I semi della pianta vengono macinati ottenendo una farina ricca di amidi. Alimento ideale per i celiaci non contenendo glutine, ha caratteristiche nutrizionali che ne fanno una fonte alimentare molto interessante.

La quinoa è composta per il 60% di carboidrati, il 6% di lipidi e il 15% di proteine. La parte proteica è molto ben equilibrata presentando, unica tra tutti i cereali, un profilo completo di amminoacidi. Infatti sono presenti tutti gli 8 amminoacidi essenziali che l’organismo non è in grado di sintetizzare e che quindi bisogna assumere necessariamente con l’alimentazione.
I semi di quinoa hanno un buon contenuto di fitosteroli, sostanze capaci di ridurre i livelli di LDL-colesterolo nel sangue, e di vitamina E (tocoferolo), nota per la sua proprietà antiossidante che impedisce la perossidazione lipidica contribuendo a mantenere stabile la struttura della membrana cellulare. Dai semi di quinoa sono stati isolati altri antiossidanti tra i quali un flavonoide, la trimetilglicina che è un glicoside oggetto di studi per la sua azione protettrice sul DNA e potenzialmente con attività antitumorale.
Queste caratteristiche fanno della quinoa un alimento importante, non solo per la valenza nutrizionale volta a una sana alimentazione, ma anche come nutraceutico utile nella prevenzione delle malattie dismetaboliche.

Abugoch J. Adv Food Nutr Res. 2009;58:1
Ranilla Lg et al. J Med Food. 2009;12:704

INTEGRATORI PER IL CONTROLLO DEL COLESTEROLO

Il termine “nutraceutico” (in Italia “integratore alimentare”) è un neologismo originato dalle parole: nutrizione e farmaceutico. Venne coniato nel 1989 dal Dott. Stephen De Felice a indicare “un alimento (o parte di esso) che ha effetti positivi per il benessere e la salute, inclusi la prevenzione e il trattamento delle malattie”. Tale definizione è evoluta nel tempo fino a quella più attuale di “supplemento alimentare che fornisce una forma concentrata di una sostanza plausibilmente bioattiva derivata da un alimento, commercializzata in forma farmaceutica (compressa, capsula, granulato…) e non in forma di alimento, e utilizzata per prevenire e curare una malattia, a dosaggi che superano quelli comunemente forniti da una normale alimentazione”.
Diverso è un “alimento funzionale”, ovvero un “alimento caratterizzato da effetti addizionali dovuti alla presenza di componenti (generalmente non nutrienti) naturalmente presenti o aggiunti che interagiscono più o meno selettivamente con una o più funzioni fisiologiche dell’organismo, generando effetti positivi sul mantenimento della salute e/o prevenzione delle malattie”.
A differenza dei farmaci, la commercializzazione dei nutraceutici non è soggetta ad approvazione da parte delle agenzie governative. La Commissione Europea regola il mercato dei nutraceutici attraverso l’European Food Safety Authority (EFSA), che autorizza i produttori di nutraceutici a utilizzare nelle confezioni i cosiddetti “health claims” (effetti sulla salute). Gli “health claims” debbono essere supportati da un’adeguata evidenza scientifica, che dimostri i benefici sulla salute umana e l’esistenza di una relazione causa-effetto tra il consumo del nutraceutico e l’effetto sulla salute. Il produttore deve dichiarare le caratteristiche degli individui cha trarranno beneficio dall’uso del nutraceutico, e le categorie di individui che debbono invece evitare l’uso del nutraceutico.

 

 

 

 

 

ALIMENTAZIONE E PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE: LE LINEE GUIDA DELLE SOCIETÀ EUROPEE DELL’ATEROSCLEROSI E DI CARDIOLOGIA

L’alimentazione è un fattore imprescindibile nella prevenzione cardiovascolare, perché influisce non solo sui livelli di lipidi nel sangue, ma anche su altri fattori di rischio, aumento della pressione arteriosa e alterazioni del metabolismo glucidico.
L’approccio mediterraneo e la DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) emergono come i modelli in grado di correggere i fattori di rischio cardiovascolare. La Dieta Mediterranea condivide con la DASH l’apporto di frutta e verdura, cereali integrali, legumi, frutta secca, pesce, pollame, latte e latticini a ridotto contenuto di grassi. In più, comprende l’olio extravergine di oliva. Le linee guida ESC-EAS 2016 aggiornano le raccomandazioni relative all’apporto alimentare di grassi, carboidrati, fibre.
GRASSI. Gli acidi grassi saturi restano quelli a maggior impatto sul colesterolo LDL; l’unico acido grasso saturo che non aumenta la colesterolemia è lo stearico. L’apporto alimentare di grassi saturi dovrebbe essere ridotto a meno del 10% delle calorie totali, sostituendo l’eccesso con grassi poli- e mono-insaturi. Gli acidi grassi trans (da grassi vegetali parzialmente idrogenati) sono ormai quasi assenti nei prodotti alimentari industriali (almeno in Italia), aumentano il colesterolo LDL e riducono il colesterolo HDL, e andrebbero evitati. Gli acidi grassi mono e polinsaturi, acido oleico monoinsaturo (quello dell’olio d’oliva), polinsaturi omega-3 (sia a lunga catena di origine marina, sia a catena più corta di origine vegetale) e omega-6 (da oli vegetali non tropicali e frutta secca), sono i grassi da privilegiare.
CARBOIDRATI. L’apporto quotidiano di carboidrati deve contribuire al 45-55% del totale calorico. Gli zuccheri aggiunti, quindi non presenti in frutta, latte e latticini, non devono superare il 10% delle calorie giornaliere. Le linee guida ricordano il ruolo dell’indice glicemico (IG) degli alimenti; consumare alimenti a basso IG contribuisce a controllare profilo glicemico e profilo lipidico.
FIBRE. L’apporto giornaliero di fibre raccomandato è di 25-40 g, di cui 7-13 g come fibre solubili. In particolare, privilegiare cereali integrali ricchi di fibre rappresenta una valida strategia per sostituire i grassi saturi, per massimizzare gli effetti positivi sul colesterolo LDL e minimizzare quelli negativi sui trigliceridi.
ALCOL. È consigliata una moderata assunzione di alcol (al massimo 2 drink/die per gli uomini e 1 drink/die per le donne) negli adulti non astemi, in assenza di controindicazioni assolute. L’astensione dall’alcol è raccomandata per i soggetti con elevati livelli di trigliceridi.
IN CONCLUSIONE, sul versante alimentare, la prevenzione cardiovascolare si basa saldamente sull’alimentazione mediterranea, che privilegia frutta, verdura, olio extravergine d’oliva, frutta secca a guscio, cereali (meglio integrali), pesce, pollame, latte e latticini in quantità moderate, consumo limitato di carne rossa e saltuario di carni lavorate e dolciumi, alcolici in quantità moderate e nel contesto del pasto. È poi necessario apportare tutti i minerali e le vitamine necessari, variando il consumo di frutta e verdura, i polifenoli, presenti in tutto il mondo vegetale e in concentrazioni consistenti nell’extravergine di oliva, nel vino, nel cacao e nel tè. Al consumo di pesce, pari ad almeno due porzioni a settimana, dev’essere associato l’apporto di fonti vegetali di omega-3, come noci, soia, semi di lino.
Ricordate sempre di CONSULTARE IL VOSTRO MEDICO prima di ogni intervento.

ALICE…. DELLE MERAVIGLIE

Dalla Dietista del Centro, Raffaella Bosisio

L’alice è un piccolo pesce con corpo allungato e snello, appartenente alla famiglia delle Engraulidae. Vive numerosissima in branchi insieme ad altre tipologie della stessa taglia, essendo una specie gregaria. Si nutre di zooplancton formato da piccoli crostacei e larve di molluschi. Molto presente nel mar Mediterraneo, nel Baltico e nell’Atlantico orientale, viene apprezzata per le carni gustose ed è consumata sia fresca che sotto sale. In passato era un pesce facilmente disponibile e sempre molto presente nella cucina mediterranea.
L’ 80% del pescato italiano viene dal mar Adriatico dove, a causa del basso prezzo di mercato, è oggetto di sovrapesca essendo il consumo più orientato verso pesci considerati maggiormente pregiati. In realtà l’alice ha un importante valore nutrizionale sia per il contenuto di proteine ad alto valore biologico (facilmente digeribili), sia per il potassio ed il fosforo. La frazione lipidica riveste un interesse particolare essendo composta principalmente da grassi polinsaturi della serie omega 3 : tra di essi l’acido eicosapentaenoico o EPA e l’acido docosaesaenoico o DHA. L’attività biologica degli acidi grassi incrementa la produzione di prostaglandine della serie 3 PGI1, TXA3, PGE3, di leucotrieni B 5, di interluchina 2, favorendo così un’azione antiaterogena, antinfiammatoria e antiaggregante piastrinica. Molti studi hanno messo in evidenza come un buon apporto di questi acidi grassi possa ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Il fabbisogno giornaliero di EPA e di DHA è di 1g. al dì e si è riscontrato come un consumo sistematico di pesce ricco di acidi grassi comporti una migliore biodisponibilità rispetto alle preparazioni farmaceutiche. E’ quindi indubbio che il consumo di questo pesce si rivela vantaggioso nella prevenzione dei disturbi cardiovascolari. Nelle dislipidemie, in particolare, è ormai assodata l’utilità di EPA e DHA che abbassano la quantità di trigliceridi e aumentano HDL-c, il cosiddetto colesterolo “buono”. E allora perché non incrementare il consumo di questo piccolo pesce ? Buono per il cuore, facilmente reperibile e di costo particolarmente contenuto ? Innumerevoli ricette possono aiutarci a mettere sulle nostre tavole l’alice ….. delle meraviglie.

Omega-3 Fatty Acids and Cardiovascular Disease: Are There Benefits? Cur Treat Options Cardiovasc Med.2016;18: 69
Omega-3 polyunsaturated fatty acids and cardiovascular diseases. J Am Coll Cardiol. 2009;54:585