DIABETE. LA VITAMINA D NON MIGLIORA LA FUNZIONALITÀ RENALE

Vitamina D, acidi grassi omega-3, o una combinazione dei due non hanno effetto sulla funzionalità renale, valutata come velocità di filtrazione glomerulare (eGFR), nei pazienti diabetici. È quanto emerge da uno studio USA in cui 1312 pazienti con diabete di tipo 2 sono stati suddivisi in quattro gruppi, cui sono stati somministrati 2.000 UI di vitamina D3 più 1 grammo di omega 3 (acido eicosapentaenoico e acido docosaesaenoico) al giorno (n=370), vitamina D3 (n=333), omega 3 (n=289), o placebo (n=320) per cinque anni.
L’eGFR media al basale era di 85.8 ml/min/1.73m2, ed è diminuita di 12.4 ml/min/1.73m2 nei 932 pazienti con dati disponibili ad entrambi i punti temporali. Non sono state osservate differenze significative tra i quattro gruppi di trattamento nella variazione dell’eGFR (Figura), nella percentuale di pazienti con un declino dell’eGFR ≥40%, che hanno sviluppato insufficienza renale o deceduti.

In un editoriale di accompagnamento all’articolo, ricercatori della Duke University School of Medicine di Durham, nella Carolina del Nord, segnalano che queste evidenze rafforzano il concetto che, negli studi clinici randomizzati, l’integrazione con vitamina D non produce alcun beneficio sulla funzionalità renale. “Ora si può affermare che molte associazioni epidemiologiche tra carenza di vitamina D ed effetti negativi per la salute erano guidate da fattori confondenti residui non misurati; l’unica associazione valida sembra essere quella tra vitamina D e i benefici per le ossa”.

JAMA (IF=51.273) 322:1899,2019

INTERAZIONI FARMACO/INTEGRATORE: UN RISCHIO REALE

Qual è il rischio reale di interazioni tra supplementi nutrizionali e farmaci? Ricercatori spagnoli hanno utilizzato i dati della National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES), negli Stati Uniti, per valutare il rischio di interazioni potenzialmente gravi (ADR) tra 3 classi di farmaci di largo impiego e integratori: tetracicline e calcio/magnesio/zinco; diuretici tiazidici e vitamina D; sartani e potassio. Su un campione di 820 pazienti (864 prescrizioni) hanno rilevato che il rischio di ADR gravi era decisamente elevato: il 49%. Fattori direttamente associati al rischio erano l’età avanzata e l’elevato livello socioculturale, probabilmente perché negli anziani è più frequente la poliprescrizione, mentre nei più istruiti è più frequente il ricorso agli integratori. Non avevano invece un’influenza significativa altri fattori come etnia, stato civile, indice di massa corporea, attività fisica. Ancora una volta emerge come l’utilizzo di integratori non vada improvvisato, ma attuato sotto diretto controllo del medico.

Nutrients (IF=4.171) 11:piiE2466, 2019

L’INTEGRAZIONE CON VITAMINA D NON CONFERISCE PROTEZIONE CARDIOVASCOLARE

Studi osservazionali hanno riportato un’associazione tra bassi livelli plasmatici di vitamina D ed elevato rischio di eventi cardiovascolari (CVD), suggerendo che la supplementazione con vitamina D possa ridurre gli eventi. I ricercatori americani hanno pertanto condotto una meta-analisi su studi clinici randomizzati che hanno testato l’associazione tra supplementazione con vitamina D, eventi CVD e mortalità per tutte le cause. I criteri di inclusione erano studi clinici randomizzati che riportavano l’effetto della supplementazione di vitamina D a lungo termine (≥1 anno) su eventi CVD e mortalità per tutte le cause. Gli eventi avversi cardiovascolari maggiori sono stati l’endpoint primario; infarto miocardico, ictus o incidente cerebrovascolare, mortalità per CVD e mortalità per tutte le cause sono stati gli endpoint secondari. Sono stati inclusi 21 studi clinici randomizzati (inclusi 83.291 soggetti, di cui 41.669 hanno ricevuto vitamina D e 41.622 hanno ricevuto placebo). L’età media dei partecipanti era di 65.8 anni; 61.943 (74.4%) erano donne.
La supplementazione di vitamina D rispetto al placebo non ha ridotto gli eventi cardiovascolari maggiori (RR 1.00; IC 95% 0.95-1.06) né gli endpoint secondari di infarto miocardico (RR 1.00; IC 95% 0.93-1.08), ictus (RR 1.06; IC 95% 0.98-1.15), mortalità CVD (RR 0.98; IC 95% 0.90-1.07), o mortalità per tutte le cause (RR 0.97; IC 95% 0.93-1.02). I risultati erano generalmente coerenti per sesso, livello basale di 25 idrossivitamina D, dosaggio di vitamina D (dosaggio giornaliero vs bolo) e presenza o assenza di concomitante somministrazione di calcio.

JAMA Cardiol (IF=11.866) 2019 Jun 19. doi:10.1001/jamacardio.2019.1870.

EZETIMIBE E NUTRACEUTICO NEL PAZIENTE CORONAROPATICO INTOLLERANTE ALLA STATINA AD ALTO DOSAGGIO

In molti pazienti il raggiungimento dei valori target di LDL-colesterolo (LDL-C) è reso difficoltoso dall’intolleranza alle statine ad alto dosaggio. In questo contesto, ricercatori italiani hanno voluto approfondire il ruolo di ezetimibe e dei nutraceutici, che potrebbero essere utili per migliorare il profilo lipidico nei pazienti in cui non è possibile titolare la statina. In particolare, questo studio ha valutato la somministrazione di una statina a basso dosaggio in combinazione con ezetimibe o con Armolipid Plus, un nutraceutico contenente riso rosso, policosanoli e berberina, al fine di valutare se queste associazioni possano aumentare la percentuale di pazienti che raggiunge il target di LDL-C. Obiettivo secondario dello studio era quello di analizzare l’efficacia della tripla combinazione statina a basso dosaggio+ezetimibe+nutraceutico nei pazienti resistenti (colesterolo LDL-C > 70 mg/dl). Lo studio, prospettico randomizzato in singolo cieco, è stato condotto in 100 pazienti con coronaropatia sottoposti a rivascolarizzazione percutanea nei precedenti 12 mesi, con intolleranza alle statine ad alto dosaggio e un assetto lipidico non a target (LDL-C <70 mg/dl) con la sola statina a basso dosaggio. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere l’associazione statina a basso dosaggio+ezetimibe o statina+nutraceutico. Tra questi, 33 pazienti trattati con statina+ezetimibe (66%) e 31 trattati con statina+nutraceutico (62%) hanno raggiunto il target di LDL-C dopo tre mesi, mantenendolo anche a 6 mesi. I pazienti che non avevano raggiunto il target sono stati trattati con la triplice associazione statina+ezetimibe+nutraceutico per altri 3 mesi: a 6 mesi, 28/36 pazienti (78%) avevano raggiunto il target. Nel complesso, il 92% dei pazienti arruolati nello studio ha raggiunto il target di LDL-C a 6 mesi dall’inizio del trattamento e nessun paziente ha riportato effetti collaterali maggiori.

Am J Cardiol (IF=3.171) 123:233,2019

LA FIBRA DI PSYLLUM PER RIDURRE ILCOLESTEROLO?

È noto che cibi ricchi in fibre solubili possono contribuire a ridurre i livelli plasmatici di colesterolo nel paziente con moderata ipercolesterolemia, anche trattato con statine. Le linee guida per ridurre il rischio cardiovascolare raccomandano l’assunzione giornaliera di 14 gr di fibra per ogni 1000 kcal. E gli integratori a base di fibra? Una recente metanalisi dimostra, con qualche limite, l’efficacia della fibra di Psyllum nel ridurre ulteriormente i livelli di LDL-colesterolo in pazienti che assumono statina. La fibra di Psyllum, proveniente dal seme della pianta Plantago psyllum, forma un gel emolliente e lubrificante che favorisce la peristalsi e riduce l’assorbimento di alcuni nutrienti, tra cui il colesterolo.

La metanalisi ha analizzato i risultati di tre studi, per un totale di 204 pazienti, della durata di 4-12 settimane. L’aggiunta della fibra di psyllum (7-15 g/die) a statina produce un’ulteriore riduzione dei livelli di colesterolo LDL (4-6%), paragonabile a quella ottenibile con il raddoppio della dose di statina. Come ipotizzabile, la fibra è più efficace nei pazienti ipercolesterolemici che nei soggetti normocolesterolemici.

I limiti dell’indagine stanno nel modesto numero di studi, nella loro breve durata e nella mancanza di endpoints clinici.

Amer J Cardiol (IF=3.171) 122:1169,2018

 

ALIMENTI FUNZIONALI E NUTRACEUTICI NELLE DISLIPIDEMIE

Dal 32° Congresso Nazionale della Società Italiana per lo Studio della Arteriosclerosi

Per dimostrare il reale effetto ipocolesterolemizzante dei nutraceutici occorre condurre degli studi randomizzati in doppio cieco. Il nutraceutico ipocolesterolemizzante più utilizzato è il riso rosso fermentato (RYR), che contiene monacolina K, a tutti gli effetti comparabile a lovastatina. L’effetto di riduzione atteso sarebbe del 15%, mentre le metanalisi mostrano una riduzione dei livelli di colesterolo pari al 25%, probabilmente dovuto alla presenza di più monacoline o al fatto che, somministrato sottoforma di riso rosso, la monacolina K è più biodisponibile. Naturalmente occorre prestare molta attenzione alla qualità del materiale di partenza per il rischio di presenza di citrinina che è nefrotossica. Un recente documento EFSA, che riporta 4 casi di rabdomiolisi in Europa in seguito a uso di RYR, non definisce comunque un’indicazione precisa per l’utilizzo di questo integratore. RYR non dovrebbe essere usato in combinazione con statine, mentre può essere somministrato con fitosteroli o con berberina. Quest’ultima pur a fronte di una bassa biodisponibilità orale, riduce i livelli di lipidi circolanti e modifica in modo favorevole la flora intestinale (microbiota).
L’utilizzo dei nutraceutici si può inserire in un contesto di intervento di efficacia moderata ma precoce, che può risultare più efficace di un intervento più intensivo ma tardivo come documentato dagli studi di genetica.
I nutraceutici ad attività ipocolesterolemizzante si inseriscono anche nel contesto dell’intolleranza alle statine, definita con presenza di eventi muscolari avversi in seguito a trattamento con due o più statine, scomparsa degli effetti alla sospensione e ricomparsa dopo re challenge con statina. È noto che vari fattori di rischio aumentano la possibilità di effetti collaterali legati alle statine. Esistono discrepanze tra i dati riportati nei trials clinici e i numeri riportati negli studi osservazionali, legate prevalentemente alla selezione dei soggetti negli studi randomizzati. D’altra parte esiste anche un effetto nocebo, ossia l’effetto collaterale correlato allo stato di conoscenza dell’assunzione del farmaco. In questi soggetti possono essere usati i nutraceutici, soprattutto RYR e berberina, che inducono riduzione di LDL-C del 20%. Risultati di meta-analisi indicano che questi integratori riducono l’incidenza di dolori muscolari in soggetti intolleranti alle statine. Come suggerito anche dalle più recenti linee guida europee, questi nutraceutici sono indicati in soggetti a basso rischio cardiovascolare, o con eventi avversi alle statine o, infine, in pazienti che rifiutano il trattamento con statine.

INTEGRATORI ALIMENTARI E PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE. LA PRESA DI POSIZIONE DELL’AIIPA: “POSSONO ESSERE UTILI MA NON SOSTITUIRE UNA DIETA SANA”

Una corretta informazione scientifica sugli integratori e sul loro uso a complemento dell’alimentazione. Con questo obiettivo Integratori Italia, gruppo dell’Associazione Italiana Industrie Produttori Alimentari (AIIPA), che fa capo a Confindustria, prende posizione sulla rassegna del St. Michael’s Hospital e dell’università di Toronto, pubblicata dal Journal of the American College of Cardiology (ne abbiamo parlato la scorsa settimana). Queste le osservazioni dell’AIIPA.

Lo studio del St. Michael’s Hospital e dell’università di Toronto, attraverso una meta-analisi di 170 lavori precedenti, ha analizzato la correlazione tra l’uso di integratori di vitamine e minerali e il rischio di eventi cardiovascolari come l’infarto, o di morte per qualunque causa. I risultati di un così vasto numero di studi non sono di facile confronto, in quanto ciascuno di essi prevede l’impiego di differenti dosaggi dei vari principi presi in esame.

Inoltre, i soggetti esaminati presentano caratteristiche diverse (per età, sesso, stile di vita e stato di salute), e assumono questi principi per periodi di tempo differenti; gli integratori alimentari sono alimenti, il cui obiettivo primario è quello di integrare la normale dieta contribuendo al benessere dell’organismo. In quanto alimenti, gli integratori non possono in alcun modo fare riferimento a proprietà di prevenzione, trattamento o cura di malattie, ma solo ad effetti di natura nutritiva o fisiologica.

In particolare, gli integratori di vitamine e minerali, in Italia e nel mondo, non vengono abitualmente impiegati per ridurre il rischio di infarto o di morte, ma per obiettivi di salute differenti, come il completamento dell’apporto dietetico degli stessi composti (si pensi all’uso della vitamina B12 nei vegani o degli integratori di Calcio e vitamina D nelle persone a rischio di osteoporosi), e comunque a supporto delle funzioni fisiologiche di soggetti sani.

Il miglioramento dello stato complessivo di salute che può essere ottenuto impiegando correttamente questi composti è confermato da una normativa europea rappresentata dal Regolamento (CE) 1924/2006 sui claims che ha sottoposto a valutazione da parte di Efsa e ad autorizzazione le indicazioni sulla salute attualmente utilizzabili. Lo studio ha documentato l’effetto protettivo di alcune vitamine del gruppo B sul rischio di ictus e la riduzione, associata all’uso dei multivitaminici, della mortalità per tutte le cause (-5%), che sfiora la significatività statistica (p=0.12).

In conclusione, l’AIIPA ribadisce che gli integratori non possono in alcun modo sostituire una dieta sana ed equilibrata, ma il loro uso può essere utile in particolari momenti della vita, come ad esempio la gravidanza e la menopausa, o nel supportare le funzioni fisiologiche del nostro organismo al fine di mantenere un buono stato di salute.

INTEGRATORI ALIMENTARI (VITAMINE E MINERALI) NELLA PREVENZIIONE CARDIOVASCOLARE

Ricercatori franco-canadesi hanno condotto una meta-analisi per verificare l’efficacia di integratori alimentari contenenti vitamine e/o minerali nella prevenzione cardiovascolare. Hanno esaminato 179 studi randomizzati, i cui risultati sono stati pubblicati tra il 2012 e il 2017.

 

 

Nessuno dei 4 integratori più utilizzati (multivitaminici, vitamina C, vitamina D e calcio) riduce in modo significativo gli eventi cardiovascolari e la mortalità. 4 integratori producono effetti significativi su eventi cardiovascolari e mortalità. L’acido folico riduce del 20% gli ictus e del 17% gli eventi cardiovascolari. La vitamina B riduce del 10% gli ictus. La vitamina B3 (acido nicotinico o niacina) e gli antiossidanti aumentano la mortalità totale del 4% e del 6%.

Gli Autori concludono che non è dimostrata l’efficacia di integratori a base di vitamine e minerali nel ridurre gli eventi cardiovascolari e la mortalità; pertanto, il rischio/beneficio del loro utilizzo deve essere accuratamente valutato.

J Amer Coll Cardiol (IF=16.834) 71:2570,2018

BENVENUTO AL PRIMO CODICE DEONTOLOGICO PER GLI INTEGRATORI ALIMENTARI

Su questa pagina abbiamo spesso lamentato lo scarso controllo da parte delle agenzie regolatorie a esso preposte (EFSA in Europa e FDA negli Stati Uniti) su produzione e commercio degli integratori alimentari (o nutraceutici). Benvenuto quindi al codice del gruppo “Integratori Italia” dell’AIIPA (Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari), ideato per regolamentare i rapporti su un piano etico e deontologico tra le aziende produttrici e i consumatori, il mondo scientifico e sanitario, le onlus di settore, le associazioni dei pazienti e le imprese concorrenti (http://www.integratoriitalia.it/codice-deontologico/).

È ovvio che l’adozione di un tale Codice da parte delle aziende produttrici di integratori non può supplire a una maggiore regolamentazione e a un più esteso e capillare controllo da parte delle Agenzie Governative, ma…..ben vengano iniziative di questo tipo!

ATTIVITÀ BIOLOGICHE DELLA CURCUMINA

Numerosi studi in vitro e in modelli animali hanno dimostrato che i curcuminoidi esercitano una serie di effetti potenzialmente favorevoli sul cardiocircolo. Sono in grado di contrastare lo stress ossidativo, hanno attività anti-infiammatoria, modulano il rimodellamento tissutale, aumentano la sensibilità di vari tessuti all’insulina e ne stimolano la secrezione pancreatica, aumentano l’ossidazione epatica di acidi grassi, riducendo la sintesi di trigliceridi, e inibiscono la biosintesi del colesterolo e l’ossidazione delle LDL (Figura).

In linea con le evidenze sperimentali, gli studi clinici hanno confermato l’azione anti-ossidante e anti-infiammatoria della curcumina. Nei pazienti con sindrome metabolica, la supplementazione con curcumina ha determinato una riduzione significativa dei livelli di hs-PCR e dei marcatori di perossidazione lipidica, con un aumento dell’attività della superossido-dismutasi (SOD), mentre in pazienti obesi, la co-somministrazione di curcumina e piperina ha ridotto i livelli circolanti di due interleuchine pro-infiammatorie, IL-1b e IL-4 e di marcatori di stress ossidativo. Due diverse metanalisi dimostrano poi che la somministrazione di curcumina riduce i livelli plasmatici di altre due citochine pro-infiammatorie, IL-6 e TNF-alfa. L’azione anti-infiammatoria della curcumina è generalmente più marcata nel caso di trattamenti prolungati con formulazioni a maggiore biodisponibilità orale.

Gli studi clinici sugli effetti metabolici della curcumina hanno prodotto invece risultati in parte contrastanti con le evidenze sperimentali. In pazienti con steatosi epatica non alcolica (NAFLD), la somministrazione di curcumina ha prodotto un significativo miglioramento del profilo lipidico e glucidico. Nei pazienti con sindrome metabolica la curcumina migliora la glicemia e i livelli di emoglobina glicata, mentre in pazienti diabetici diminuisce l’insulino-resistenza e riduce i livelli plasmatici di trigliceridi e VLDL. Tuttavia, una metanalisi di 5 trials ha mostrato che la curcumina non riduce i livelli di colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi. Forse più rilevante è il fatto che la supplementazione con curcumina si è rivelata in grado di migliorare alcuni marcatori surrogati di aterosclerosi, quali la disfunzione endoteliale e la rigidità arteriosa.

Giornale Italiano dell’Arteriosclerosi 8:90, 2017